Tutti gli articoli di Giulia Enrica D'Ambrosio

Frank Monaco…obiettivo sull’Anima

Frank Monaco è nato a New York il 27 dicembre del 1917, da una famiglia di emigrati molisani, originari di Cantalupo nel Sannio (Isernia).

Ha partecipato alla seconda guerra mondiale, nelle file dell’esercito americano, fino al congedo dovuto ad una ferita alla mano destra.

Dopo avere frequentato corsi di arte e di giornalismo alla New York University, arriva a Roma nel 1950 per ricevere lezioni di arte.

Durante alcune visite in Molise ai parenti materni, scatta alcune foto di contadini molisani che poi fa casualmente vedere al pittore Afro, di cui era diventato amico.

Afro lo indirizza decisamente verso questa nuova strada, che diventa la sua fondamentale attività. Queste foto sono oggi una delle più importanti testimonianze estetiche ed antropologiche della società molisana e meridionale agli inizi degli anni ‘50.

Nel ‘55 si sposta a Londra, dove poco dopo avvia la collaborazione con la rivista cattolica Jubilee, che dura oltre un decennio.

Si lega all’Agenzia “Rex Features” che dai primi anni ‘60 gestisce il suo portafoglio d’immagini. La collaborazione con Jubilee lo porta ad indagare con particolare interesse ed insistenza i luoghi della spiritualità e della sofferenza. Per la sua attività gira il mondo e, in particolare, torna diciotto volte in India, di cui ritrae le manifestazioni della vita sociale e, soprattutto, della vita religiosa. Le sue foto sono state pubblicate in ogni parte del mondo da oltre 450 tra libri e giornali.

I critici che si sono interessati alla sua opera hanno sottolineato la particolare sensibilità che accompagna la sua visione del mondo, il suo realismo rigoroso e gentile, la strutturazione dell’immagine intorno a nuclei di interesse psicologico ed umano, la sua “religiosità” fatta di accettazione e di rispetto per le cose e per gli uomini.

Una selezione delle foto di Frank Monaco è nella collezione permanente del Victoria & Albert Museum. Ha fornito immagini per il libro The Irish di Tom O’ Hanlon e pubblicato They Dwell in Monasteries (1982), The Women of Molise – An Italian Village 1950 (2000), Brothers and Sisters (2001).

Ma l’America è lontana…

QUOTIDIANITA’ E REALE CONDIZIONE DEGLI EMIGRANTI ITALIANI E MOLISANI IN SUD AMERICA E NEGLI STATI UNITI

La realtà nelle terre transoceaniche era ben diversa da quella propagandata ed immaginata.

Lo scoprirono subito gli italiani e i molisani che scelsero in quegli anni gli attracchi del Sud America prima e poi dell’America del Nord.

Fra il 1880 e il 1915 approdano negli Stati Uniti quattro milioni di italiani.

La condizione degli emigranti era ben misera anche nelle terre che promettevano prosperità e speranza.

Erano in gran parte analfabeti, non conoscevano la lingua del luogo in cui emigravano, dovevano accettare di svolgere i lavori più umili, quelli che gli indigeni si rifiutavano di svolgere.

Tanto che si sviluppò un vivace dibattito sulla stampa argentina in particolare che, rendendo note le condizioni di lavoro e di vita degli emigranti, era volto a dissuadere gli italiani dal recarsi in quei luoghi.

Le difficoltà per l’emigrante erano ben evidenti fin dall’inizio dell’avventura, quando ancora si trovava in patria.

Molti, se non tutti, cadevano vittima dei promotori dell’emigrazione.

Con l’aumento delle partenze si organizzò, infatti, una vera e propria industria che ruotava intorno al fenomeno migratorio.

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La mia seconda Patria | Mostra dell’emigrazione molisana – video evento

La mia seconda Patria | Mostra dell’emigrazione molisana – video evento

In questo video si può osservare uno scorcio della mostra “La mia seconda Patria”, nata dall’esigenza di far conoscere ai molisani, ed ai giovani in particolare, a cinquant’anni dell’autonomia della Regione, le dinamiche, le motivazioni e le implicazioni sociologiche , economiche ed umane connesse ai movimenti migratori, che hanno visto , il Molise tra le più coinvolte.

La mostra si è tenuta al Palazzo Gil di Campobasso, da ottobre 2013 a gennaio 2014

Eddie Lang

Il 25 ottobre del 1902 nasce a Philadelphia, Pennsylvania, Salvatore Massaro.

Il padre Domenico Massaro, liutaio molisano, era emigrato in questa città da Monteroduni in cerca di fortuna. Il padre, gli intaglia una mini chitarra da una scatola di sigari, trasmettendogli così sin dalla tenera età l’amore per la musica.

Salvatore, così, cominciò da giovane a studiare il violino e per molti anni restò fedele a questo strumento, imparando le tecniche musicali e coltivando la sua passione per la musica classica.

In seguito volle imparare a suonare anche il banjo e la chitarra. Il suo soprannome, invece, gli deriva dalla passione del padre verso un giocatore di baseball, Eddie Lang.

Fu compagno di scuola di Joe Venuti, con il quale istaurò una grande amicizia e una collaborazione lavorativa, che durò gran parte della sua carriera.

Nel 1918 era già attivo come musicista professionista suonando il vilino, il banjo e la chitarra. Ammirava molto il chitarrista classico spagnolo, Segovia, e volle in seguito riadattare il testo di Rachmaninoff “Prelude in C minore” in un assolo per chitarra.

Cominciò suonando il violino nel quintetto di Bert Estlow in un ristorante di Atlantich city. Questo fu il suo primo lavoro come musicista. Suonò anche il banjo nell’orchestra di Charlie Kerr e Russ Morgan. Nel 1921 cominciò a dedicarsi maggiormente alla chitarra, scegliendola come strumento prediletto.

La musica popolare dei primi anni ’20 ed in particolare del jazz stava cambiando, ci si trovava in un periodo di transizione. Alcuni sostengono che il cambiamento, che si stava verificando in quegli anni nel campo della musica, fosse dovuto all’uso sempre maggiore della chitarra, in quanto strumento che meglio si adattava al cambiamento dei tempi e che si legava con i suoni del basso. Altri, invece, ritrovavano la causa nell’introduzione dei microfoni elettrici che permettevano una registrazione ottimale della chitarra acustica.

Proprio in questi anni Eddie comincia a prediligere la chitarra e a creare con questa nuovi modi di fare musica, tanto che quando James Sallis, scrittore del The Guitar Player, si espresse sulle cause del cambiamento musicale in quegli anni, scrisse:  “More than anything else the change resulted from the playing of Eddie Lang” (Più di ogni altra cosa, il cambiamento è dipeso dal modo di suonare di Eddie Leng).

In ogni caso, come riferisce Leonard Feather “Lang seppe acquisire uno stile unico, una finezza tonale e una delicatezza quasi da musica da camera fino allora sconosciuti nel jazz“.

In poco tempo divenne il chitarrista più ricercato in campo jazzistico.

Ottenne la sua prima scrittura nel 1912 ed esordì con il banjo e poi la chitarra nell’orchestra di Charlie Kerr (1920), un noto direttore d’orchestra di Filadelfia; la sua reputazione crebbe così rapidamente che gli Scranton Sirens lo vollero nella loro orchestra.

Fu uno dei primi musicisti bianchi ad integrarsi con quelli di colore; frequentemente si recava nei night club di Harlem dove, per suonare nelle loro band, si racconta che tingesse le mani e il volto di scuro.

Dopo aver lavorato per diverse orchestre si trasferì a Londra, passando l’anno del 1924-25.

Si trasferì poi definitivamente a New York, dove cominciò la sua carriera.

Fece parte dell’orchestra di Venuti, Adrian Rollini, Roger Wolfe Kahn e Jean Goldkette. In questi anni si dedicò anche al lavoro di studio come sileman, sia in radio, sia per la nascente industria del disco. Fu l’occasione questa per incidere una grande varietà di stili e di generi musicali.

Nel 1929 insieme al suo compagno Venuti, si unì all’orchestra di Paul Whiteman, con il quale comparve nel film The King of Jazz.

Comparve anche in un altro film, nel 1932, Big Broadcast, quando lasciò l’orchestra di Whiteman seguendo Bing Crosby, che in quel periodo si era trasferito a Hollywood.

Per un intero anno seguì Crosby nel suo lavoro suonando con lui full-time.

La vita del giovane artista, però, si spezzò improvvisamente quando morì in seguito ad una improvvisa emorragia, dopo un’operazione di tonsillectomia, alla quale si era sottoposto per curare le sue continue laringiti. Operazione suggeritagli, pare, dallo stesso Bing Crosby.

Lang era, probabilmente, affetto da emofilia, una malattia ereditaria con disturbi anche gravi della coagulazione del sangue, questo non aiutò sicuramente la buona riuscita dell’operazione, ma lo storico del jazz, Vince Giornadno, sostiene che in realtà morì a causa di una sbronza che si prese subito dopo l’operazione insieme al suo dottore.

Il contributo che Lang diede al mondo del Jazz è indiscutibile.

Il suo modo di suonare la chitarra fu innovativo e pioneristico. Joe Venuti lo definì “Il pioniere della chitarra, il più grande di tutti i tempi”.

Proprio con l’orchestra di Venuti registrò una ventina di sedute di incisione, che andarono a definire la musica jazz per piccole incisioni. Alcuni di questi brani sono stati di recente ripubblicati dalla Mosaic Records e tra i più noti ci sono Goin’ Places, Teh Wild Dog e Cheese and Crackers.

Lang registrò anche con altre orchestre e musicisti come Bix Beiderbecke, The Mound City Blue Blowers, Luis Armstong, King Oliver, Benny Goodman, Bessie Smith, Jack Teagarden, Karl Cress e molti altri. In poco tempo divenne il chitarrista più ricercato nel campo.

Insieme a Venuti, Lang creò un’associazione con l’orchestra the Goodkette, band a 14 pezzi. Insieme a questa orchestra completò diverse sessioni con Bix Beiderbecke, con il quale registrò la versione di “Singin’ the Blues”, “Clementine” e “I’m Coming Virginia” nel 1927.

In questo stesso anno registro con Red Nichols e the Five Pennies, senza mai interrompere le registrazioni con Venuti cominciate nel 1926.

Registrò anche altri dischi sotto lo pseudonimo di Blind Wille Dunn con il gruppo Blind Willie Dunn and His Gin Bottle Four.

Con questo nome registrò nel 1929 per la Okeh di New York un certo numero di brani insieme a Lonnie Johnson, chitarrista di colore eccezionalmente bravo. Il nome del gruppo deriva dal richiamare il nome di altri suonatori neri di blus, quali Blind Blake, Blind Lemon Jefferson, Blind Willie Johnson, Blind Willie McTell.

La scelta è stata pensata principalmente per una questione commerciale, si pensava che pochi afroamericani, pubblico principale dei dischi blues nel mercato detto di “race records”, avrebbero comprato un disco suonato da un bianco. Proprio per questa differenza di colore tra lui, bianco e Johnson nero, molti concerti furono annullati: il jazz, come molti altri generi musicali in America, rimaneva ancora un genere di segregazione.

La collaborazione tra i due rimase forte, in ogni caso e sulla base delle esperienze fatte, Lonnie Johnson disse di Lang che “era il miglior chitarrista che avessi mai incontrato e le registrazioni che feci con lui rimangono la mia esperienza migliore…era la persona più gradevole con cui abbia mai lavorato”.

In onore del grande musicista a Monteroduni, paese natale del padre, si svolge dal 1991 un festival Jazz, intitolato al chitarrista, che richiama artisti di fama mondiale: Eddie Leng Jazz Festival

 

Bibliografia:

Adriano Mazzoletti, Eddie Lang – Stringin’ The Blues, Pantheon Editore, Italy.

Erlewine, Michael, editor, All Music Guide To Jazz, Miller Freeman Books, 1998.

Russell, Tony, Masters of Jazz Guitar: The Story of the Players and Their Music, Balafon Books, 1999.

Sallis, James, The Guitar Players: One Instrument and Its Masters in American Music, William Morrow and Company, 1982.

 

Periodicals

Guitar Player, March 1998.

 

Sito ufficiale:

http://www.eddielang.com/el_home.html

 

SITOGRAFIA

  • https://it.wikipedia.org/wiki/Eddie_Lang

 

Storia

Il tema dell’emigrazione, antica e moderna, è complesso, articolato e – con il tempo – diventa sempre più interessante approfondirne le radici, le evoluzioni, le interrelazioni con i paesi di residenza, con la madre patria, con i paesi di provenienza dei nuovi concittadini.

I Molisani nel mondo sono tantissimi, forse molti di più di quelli stimati, circa 800.000, e nonostante abbiano stabilito nuove radici, essi continuano ad essere ancora profondamente legati alle proprie origini.

Un legame che non può fare altro che onore a chi invece è rimasto sul territorio molisano.

L’Emigrazione in Molise

L’emigrazione è l’elemento più omogeneo della storia recente del Molise e ne ha profondamente contrassegnato l’evoluzione sociale.

Si possono agevolmente distinguere tre periodi all’interno del flusso migratorio della regione, come per quello dell’intera nazione:

  1. 1870/1890
  2. 1900/1915
  3. 1945/1970 – 80.

Come dato di insieme si può affermare che, in base ai numeri ufficiali, disponibili dal 1876 in poi, gli espatri dal Molise fino agli anni ’70 – ’80 del ‘900, sono quantizzabili  in circa 600.000.
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Arturo Giovannitti

“Il poeta dei lavoratori italiani”

Arturo Giovannitti nasce il 7 gennaio 1884 a Ripabottoni, in provincia di Campobasso, da Domenico Giovannitti e da Giannina Levante. Dopo di lui i coniugi Giovannitti avranno altri due figli .

Arturo passa la sua fanciullezza tra i libri della biblioteca paterna e  rivela un naturale talento per la letteratura e in particolare per la poesia, maturando in un ambiente familiare già dedito alle belle lettere: lo zio, fratello di sua madre era pittore, il nonno paterno scriveva libri mentre suo padre aveva vergato alcuni versi, anche il fratello Aristide lasciò alcuni scritti di natura lirica. Il giovane Arturo legge avidamente quanto custodisce la biblioteca paterna, perlopiù tomi di storia e di scienza, un patrimonio che chiederà per sé alla morte del padre, lasciando ogni altro bene ai familiari.

In Molise il suo futuro sembra già definito: all’età di circa 11 anni il padre lo iscrive al Liceo Ginnasio Mario Pagano di Campobasso, unico istituto frequentato dai figli della borghesia molisana. Durante la sua formazione scolastica saranno Carducci, Rapisardi e Stecchetti e in primis Dante i suoi modelli letterari.

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