L’emigrazione è l’elemento più omogeneo della storia recente del Molise e ne ha profondamente contrassegnato l’evoluzione sociale.
Si possono agevolmente distinguere tre periodi all’interno del flusso migratorio della regione, come per quello dell’intera nazione:
- 1870/1890
- 1900/1915
- 1945/1970 – 80.
Come dato di insieme si può affermare che, in base ai numeri ufficiali, disponibili dal 1876 in poi, gli espatri dal Molise fino agli anni ’70 – ’80 del ‘900, sono quantizzabili in circa 600.000.
Un dato che, però, è limitato, poiché non tiene conto degli espatri avvenuti prima del 1876, delle numerosissime partenze clandestine e delle visite temporanee a parenti già emigrati che venivano poi trasformate in installazioni permanenti.
La metà degli esodi ufficiali è avvenuta durante la prima grande ondata migratoria (1870 – 1915), un terzo nel periodo che va dal 1945 al 1970, il resto nell’intervallo tra le due guerre mondiali e dagli anni ’70 in poi.
Sempre in via generale, l’emigrazione molisana si connota come manifestazione precoce rispetto alle altre aree italiane coinvolte, diffusa in maniera capillare su tutto il territorio regionale, originale nelle sue variegate e concorrenti motivazioni.
Riguardo a queste ultime appare utile soffermarsi su alcuni elementi che più di altri hanno contribuito alla “diaspora”.
Innanzitutto vi era nei molisani di fine ‘800 una già forte predisposizione alla “pendolarità” data dalla pratica secolare della transumanza.
Non era perciò inconsueto, anzi al contrario era la regola, che gli uomini fossero lontani da casa per procurarsi il sostentamento per vivere.
La situazione economica e sociale già difficile del Molise subì un notevole aggravamento con l’unificazione del Regno d’Italia che accentuò l’arretratezza della sua struttura basata essenzialmente sul sistema silvo – pastorale. Un sistema che entrò in crisi nella fase della “piemontesizzazione” del sud Italia.
Il background fattuale e culturale della regione, organizzata istituzionalmente nell’unica Provincia di Campobasso, si scontrò con scelte legislative che quando vi furono, si rivelarono sbagliate e lontano dalla peculiarità molisana e del Mezzogiorno d’Italia.
Tutti elementi che videro accrescere nei molisani la determinazione di compiere l’unica scelta che a loro appariva possibile: la fuga dal bisogno e la costruzione in terre lontane di un futuro migliore.
Un altro elemento caratterizzante dell’esodo molisano, riscontrabile soprattutto nel primo periodo analizzato è costituito dalla scelta dell’abbandono per motivazioni politiche.
Tra i primi ad emigrare furono i contadini, poi gli artigiani ed alcuni professionisti.
Alla fine dell’800, spentosi il fenomeno del brigantaggio e dopo l’azione di repressione del nuovo Stato borghese, si formarono soprattutto nell’Alto Molise oltre che nelle aree confinanti con la Puglia, le prime correnti socialiste che si integrarono con le rivendicazioni sociali già presenti.
Agnone, non a caso, è considerata la patria dei pionieri dell’emigrazione molisana. Nel 1870 i suoi abitanti furono i primi a partire per l’Argentina. Al contempo la città che ha dato al flusso migratorio il maggior contributo quantitativo.
Attualmente Agnone ha 6.000 abitanti e si calcola che circa 20.000 agnonesi siano sparsi per il mondo.
Anche per questi motivi, oltre che per la compattezza della comunità agnonese all’estero la Prima Conferenza Regionale dell’Emigrazione si è svolta proprio ad Agnone nel 1986.
Tornando ai motivi politici dell’espatrio, questi connotarono la migrazione molisana come percorso di inserimento dei nostri conterranei nei flussi del mercato mondiale del lavoro e nel filone della ricerca di condizioni di vita più adeguate al mondo moderno.
Modelli culturali e sociali, questi, che approderanno, poi, nella terza ondata migratoria del secondo dopoguerra.