Ma l’America è lontana…

QUOTIDIANITA’ E REALE CONDIZIONE DEGLI EMIGRANTI ITALIANI E MOLISANI IN SUD AMERICA E NEGLI STATI UNITI

La realtà nelle terre transoceaniche era ben diversa da quella propagandata ed immaginata.

Lo scoprirono subito gli italiani e i molisani che scelsero in quegli anni gli attracchi del Sud America prima e poi dell’America del Nord.

Fra il 1880 e il 1915 approdano negli Stati Uniti quattro milioni di italiani.

La condizione degli emigranti era ben misera anche nelle terre che promettevano prosperità e speranza.

Erano in gran parte analfabeti, non conoscevano la lingua del luogo in cui emigravano, dovevano accettare di svolgere i lavori più umili, quelli che gli indigeni si rifiutavano di svolgere.

Tanto che si sviluppò un vivace dibattito sulla stampa argentina in particolare che, rendendo note le condizioni di lavoro e di vita degli emigranti, era volto a dissuadere gli italiani dal recarsi in quei luoghi.

Le difficoltà per l’emigrante erano ben evidenti fin dall’inizio dell’avventura, quando ancora si trovava in patria.

Molti, se non tutti, cadevano vittima dei promotori dell’emigrazione.

Con l’aumento delle partenze si organizzò, infatti, una vera e propria industria che ruotava intorno al fenomeno migratorio.

Alcuni soggetti spregiudicati, i mediatori dell’emigrazione, oltre a lucrare con le provvigioni che ricevevano dalle Compagnie marittime, si procuravano altri guadagni stipulando direttamente i contratti con gli emigranti ai quali, solo teoricamente assicuravano i mezzi di prima necessità.

Essi anticipavano il prezzo del viaggio, dei vestiti e di tutto quello che poteva servire ad una famiglia per affrontare la traversata.

Per far fronte all’impegno, quindi, intere famiglie contraevano addirittura mutui ipotecari sui loro piccoli appezzamenti di terreno, sulle case e spesso, se il lavoro andava male o non ne riuscivano a trovare, perdevano tutti i loro beni qui in Italia.

Moltissime persone vendettero casa, terre, vigna, asino, tutto quello che avevano, taglieggiati e raggirati già in patria da paesani faccendieri e poi dagli agenti di emigrazione.

Questa situazione si verificò soprattutto nel primo periodo dell’emigrazione, quando non c’era alcuna regolamentazione sulla figura dell’ “agente di emigrazione”; l’assenza di legislazione in materia, senza dubbio, favorì la condotta illecita dei più spregiudicati tra gli agenti, che non cancella, comunque, il valore del lavoro dei tanti mediatori di emigrazione onesti.

Gli Italiani già da tempo residenti negli Stati Uniti, dunque, gestivano il collocamento degli immigrati quasi sempre sfruttando i propri connazionali.

Si faceva leva sull’ignoranza della lingua e del funzionamento della società statunitense, esigevano quote dei salari per il lavoro che procacciavano.

Il gruppo di sfruttatori era vasto e variopinto.

Al suo interno vi erano agenti dell’immigrazione, sub agenti, impiegati comunali, notai, padroni, strozzini.

Per cercare di diminuire i numerosissimi casi di sfruttamento venne emanata la Legge Crispi del 30 dicembre 1888 n° 5866, mantenne il carattere strettamente privatistico del contratto, limitandosi a sancire norme di polizia per controllare l’attività di agenti o subagenti; questa Legge, suo malgrado, non riuscì ad eliminare gli inconvenienti per i quali era stata varata.

Con un’altra Legge emanata il 31 gennaio 1901 n° 23, furono abolite le agenzie per il trasporto degli emigranti e le norme che disciplinavano l’emigrazione vennero profondamente cambiate.

Il quadro, finalmente, ebbe un’evoluzione favorevole per la tutela dell’emigrante e per la repressione delle condotte illecite nel momento in cui venne regolato con legge il settore delle agenzie di emigrazione.

Oltre alla vendita e all’ipoteca delle proprietà, il principale strumento di finanziamento furono i “prepaids”  inviati dai parenti e amici pionieri.

Erano biglietti prepagati contenuti nelle lettere inviate ai familiari in Italia che fungevano da stimolo all’esodo verso l’America.

Questo fu il momento d’oro delle agenzie di emigrazione, che in molti casi facevano vera e propria opera di esportazione di schiavi: promettevano ricchi compensi in denaro, un lavoro sicuro; poi arrivati in America, senza conoscenza della lingua, spaesati, senza alcuna possibilità di tornare indietro venivano affidati a dei padroni.

Lavorare per un padrone fu il destino di molti emigranti; ciò spesso comportava il versamento di una tangente per ottenere un lavoro, l’abitazione, oltre all’obbligo di acquistare le merci in un negozio indicato dal padrone.

La stragrande maggioranza degli emigranti era analfabeta per cui la necessità di scrivere in patria per mandare proprie notizie fece nascere delle nuove figure lavorative: lo scrivano e il  traduttore.

Grande importanza ebbe  il ruolo del portalettere che, a sua volta, era incaricato di leggere ai familiari, anch’essi analfabeti, le missive che arrivavano a destinazione.

Tale scenario fa ben intuire quanto il percorso dell’integrazione degli emigrati italiani possa essere stato duro, faticoso e difficile.

Il fenomeno migratorio deve essere ripercorso, alla luce di quanto detto, soffermandosi a riflettere con spirito critico sulle molteplici dinamiche intercorse.

Dovrebbe, inoltre, fungere da linfa vitale per far emergere con vigore il proprio spirito civico, frutto di dure “battaglie”condotte dai nostri connazionali migranti.

 

SITOGRAFIA

–      http://www.emigrati.it/Emigrazione/Emiamerica.asp

–      http://cronologia.leonardo.it/emitot2.htm

–      http://cronologia.leonardo.it/storia/a1880a.htm

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