L’evento collaterale, organizzato nell’ambito della mostra regionale dell’emigrazione molisana, offre l’occasione di discutere e di approfondire la tematica per la quale verte l’attenzione (focus), di questa esposizione fotografica.
Per l’occasione si è pensato di organizzare una tavola rotonda con un profilo, nonchè un punto di vista ed una marcata presenza, spiccatamente femminile.
Le voci dei relatori o meglio delle relatrici, alla fine dei lavori comporranno un racconto plurale dall’alto profilo culturale.
Nello specifico presentiamo le relazioni da cui inizieranno i lavori:
Antonella Presutti, Presidente Fondazione Molise Cultura, Donne ed emigrazione nella letteratura.
Adele Rodogna, Docente di Italiano e Storia, Le vedove bianche.
Rossella Gianfagna, Rettore Convitto Mario Pagano, Le donne molisane all’estero.
Adele Fraracci, Docente di Storia e Filosofia, Tra Memoria e Storia.
I lavori verranno aperti con i saluti particolari dell’Assessore alla Cultura, Turismo e Rapporti con i Molisani nel Mondo, Vincenzo Cotugno della Regione Molise ed a seguire ci sarà l’introduzione di Antonio D’Ambrosio, Presidente dell’associazione pro Arturo Giovannitti e curatore della mostra.
Sei anni dopo la prima grande mostra dell’emigrazione molisana fatta sempre negli spazi della
Fondazione Molise Cultura, che ha visto una presenza di pubblico straordinaria (oltre cinquemila
visitatori, in prevalenza giovani studenti) oggi, fortemente voluta dall’Assessore alla Cultura – Turismo
e dei Molisani nel Mondo, ing. Vincenzo Cotugno, riproponiamo una mostra sull’emigrazione della
nostra regione con un occhio indagatore diverso da quello di sei anni fa. Rimane comunque la finalità:
una mostra didattica rivolta agli alunni delle scuole di ogni grado. Per loro in particolare, come per
ogni molisano, ricordiamo che non si può capire, ancora oggi, la storia della nostra Regione se non si
ha conoscenza del fenomeno migratorio che l’ha attraversata sin dagli anni Settanta dell’Ottocento
e che continua ancora nei giorni nostri. Questa mostra abbiamo voluto dedicarla alla figura della
donna, che la storiografia ha scarsamente considerato rispetto al ruolo svolto all’interno del
fenomeno migratorio.
In tal senso abbiamo riunito le migliori immagini degli archivi molisani: archivio Pilone di Larino;
Centro della fotografia,archivio “La Grande Onda” di Domenico D’Addario, San Martino in Pensilis,
curata dal cultore della memoria storica locale Emiliano Di Tata; archivio DeVito d’Isernia ed infineil
contributo della Fondazione Molise Cultura proveniente dall’archivio dell’ingegnere Flavio Brunetti,
“Non aprire che allo scuro”. Un patrimonio iconografico immenso che la nostra regione può vantare
in merito all’emigrazione.
Altri documenti fotografici significativi sono in altri archivi privati o di associazioni, di cui sottolineiamo
l’importanza della catalogazionee diffusione anche attraverso i nuovi archivi elettronicial fine di
conservarne la memoria, di renderne accessibile lo studio, valorizzandone dunquelavasta ricchezza
culturale, sociale, antropologica ed umana che emerge dalle immagini.
Le foto in esposizione, trattandosi nella fattispecie di documenti storici, vanno lette tenendo conto
della forza espressiva che le donne ed i bambini esprimono; in questo tipo di documento si può infatti
individuare una comunicazione attraverso messaggi subliminali che le famiglie ed il fotografo
celavanonello scatto, rendendo l’immagine leggibile per il proprio congiunto emigrato in “america”.
Spesso questi messaggi vogliono essere toccanti rassicurazioni agli occhi di chi è lontano, le foto
sembrano quasi parlare: “Tutti stanno bene”; “I bambini crescono sani”; “Stiamo tutti in salute”;
“Stiamo tutti bene grazie al tuo sacrificio”. Alcune volte questi messaggi, o meglio la loro lettura,
passa attraverso dettagli, oggetti: mettere in mostra un frutto, una spiga di grano, un cimelio di
famiglia, un ricordo, un regalo, un orologio o un borsellino aperto e vuoto, simbolo di una struggente
richiesta d’aiuto.
Sicuramente ilpiù suggestivo fra i contributi fotografici è lo scatto denominato “La pietà”, una
bambina tra le braccia della mamma che dilata il tempo e la bidimensionalità dello scatto, che fa
riflettere sul significato della morte, e sul valore di un momento impresso per sempre sulla pellicola.
Lucido, disperato, toccante ed estremo messaggio da inviare al marito lontano. Non solo la lettera
che annuncia il doloroso e tormentoso evento, ma anche la necessità di testimoniarlo attraverso
l’immagine. Una madre, che in questo modo mostra una consapevole e disperata freddezza rispetto
al dramma che ha colpito la famiglia. Una foto unica, irripetibile per la portata umana e sociale del
messaggio.
Altra novità apportata, oltre al patrimonio materiale relativo all’emigrazione (nella forma di lettere,
passaporti, atti di richiamo, atti notarili, foto, cartoline, soldi) è la lettura della mostra che si presenta
del tutto innovativa.
Abbiamo puntato sulle scene iconiche che hanno caratterizzato l’emigrazione ed i momenti più
difficili di questo percorso lungo circa centocinquant’anni. Abbiamo ricostruito, come in un film, le
scene di una nave con l’attesa dell’imbarco, un ponte della nave con una cabina e le donne che strette
ai propri cari guardano ad un futuro migliore. Poi Monongah – West Virginia–USA, uno degli episodi
più tristi della nostra emigrazione che ha visto la morte di oltre cinquecento minatori, rappresentato
da un bambino minatore che porge con le sue mani ai visitatori del carbone della miniera.
Il numero dei morti di questa tragedia del 6 dicembre del 1907 è imprecisato, avvolto dalla fitta
nebbia del lavoro a cottimo, modalità lavorativa di cui precarietà e scarsa sicurezza sono le
caratteristiche principali. La maggioranza delle vittime accertate era italiana e tra questi la perdita
maggiore l’ha avuta proprio il Molise. Altro set è quello dedicato allo studio di Arturo Giovannitti, il
nostro poeta e bardo della libertà, a fianco la scena della tragedia di Marcinelle accaduta in Belgio l’8
agosto del 1956. Anche qui, come a Monongah, la miniera porta con sé 262 vite e sei feriti. 136 erano
italiani, di questi 7 molisani.
Spostandoci sull’altro lato della sala, emblema degli enormi sacrifici di padri e madri, le nuove
generazioni: i figli degli emigrati che hanno avuto successo nella vita. A loro è dedicata la parte
interattiva dove si possono sfogliarefoto e leggere biografie.
Concludendo, l’attualità rappresentata dai nuovi movimenti migratori: giovani che partono in aereo,
con un trolley ed un computer e giovani che fuggono da guerre e miseria dai loro paesi, per arrivare
in Italia ed in Europa, senza bagaglio ma con speranza, la stessa speranza che avevamo letto nei
documenti fotografici in precedenza.
In sintesi, ricordo ciò che la storiografia dice della nostra emigrazione, ovvero che sono partiti i più
motivati e che questi, attraverso il loro lavoro, il loro impegno, il loro sacrificio hanno fatto grande il
paese che li accolse.Se è stato vero questo per noi, è vero anche per chi in questi anniarrivacon
altrettanta motivazione e per questo potenzialmente, allo stesso modo dei nostri emigrati, capace di
aiutare la nostra nazione a crescere.
Antonio D’Ambrosio Presidente Associazione Pro Arturo Giovannitti, Curatore della mostra “Le donne e l’emigrazione” Palazzo GIL Fondazione Molise Cultura.
ATTIVITA’ FORMATIVA PER LE SCUOLE
Tempo visita complessiva:50/60 min.
Attività proposte:
1 Tour della salaespositiva
–Contestualizzarei duemacro–periodistorici(dal1870 al 1970) attraverso il
Una sola idea nuova è penetrata testé, quella dell’emigrazione, la quale aiutata dal fatto di qualche risultato favorevole, poteva divenire minacciante per la prosperità di questi luoghi. Così queste popolazioni non potendo entrare in massa nel gran movimento di idee e di utilità del proprio paese, trovano più comodo mandare esploratori nel nuovo mondo; né sarebbe strano che ove potentemente non fosse aiutato il loro sviluppo e progresso nel luogo ove nacquero, si levino un giorno come uno stormo di uccelli per traversare a schiera l’oceano[1].
Così, in una sua nota, scriveva nei primi anni Settanta del 1800 il prefetto Francesco Contin di Castel Seprio, che all’epoca ricopriva l’incarico di sottoprefetto per la Provincia di Campobasso, analizzando il crescente fenomeno dell’emigrazione.
In particolare, nei comuni del circondario di Isernia iniziavano a scorgersi i primi segnali del fenomeno che segnerà la storia recente della nostra regione. Ed il Prefetto, con lucida obiettività, in sostanza disegnava con queste frasi il quadro di quello che sarebbe stato il cammino dei molisani nel mondo.
La situazione economica e sociale delle Province meridionali (e del Molise in particolare), durante gli stravolgimenti sociali e politici del 1860, non era sostanzialmente mutata da quella descritta da Giuseppe Zurlo (Baranello CB, 1759 – Napoli, 1828) [2] . Zurlo all’epoca dei fatti ricopriva la carica di Ministro dell’Interno e in riferimento all’applicazione della Legge del 23 ottobre 1809 relativa all’istituzione dei Commissari per la liquidazione degli usi civici [3] , diede una personale interpretazione nel merito della Legge del 2 agosto 1806. Egli sostenne che la legge: abolì le prestazioni personali, tutti i diritti giurisdizionali, le privative, ma conservò ai baroni tutto ciò che essi possedevano per causa del dominio feudale, e di quello che si conservava non fu bastevole ad estinguere quello che la feudalità aveva di odioso, e di pesante per il popolo. La massima parte dei diritti feudali potendo aver l’impronta di prestazioni territoriali, tutto si sostenne come conservato dalla legge, e la feudalità parve per molto tempo abolita di solo nome. Per cui nelle campagne non solo rimase tutto immutato, ma a pagarne le spese fu proprio l’agricoltura. L’agricoltura molisana, come quella della stragrande maggioranza del mezzogiorno d’Italia, visse in un sistema di arretratezza e senza molte prospettive di sviluppo fino ed oltre il miracolo economico italiano degli anni ’60 (a cui segue come relazione di causa-effetto: l’abbandono delle attività nei campi e l’allontanamento della popolazione dai centri nativi – si guardi il fenomeno dello spopolamento delle aree interne – per le grandi città industrializzate soprattutto del nord. E qui potremmo iniziare a trattare un altro capitolo della storia dell’emigrazione italiana…).
Le condizioni di vita della quasi totalità dei molisani, in particolare dei contadini, erano pessime, poiché pressoché ridotti alla fame. Nella Provincia erano quasi del tutto inesistenti le strade e i commerci, non c’era un’industria che si poteva considerare tale, c’era solo qualche bottega d’artigianato, mentre, circa il novanta per cento della popolazione era dedita all’agricoltura.
Tutto era retto da pochi signori proprietari di terreni che da secoli avevamo sfruttato ed oppresso il popolo e che continuavano ancora a farlo indisturbati.
Le condizioni economiche dei molisani con l’ascesa e l’affermazione della nuova borghesia terriera, che sostituì l’aristocrazia ed il clero, ancora più rapace ed oppressore dei primi, peggiorarono addirittura. I contadini dopo i tentativi, anche violenti, messi in atto con ribellioni e lotte per la conquista dei terreni demaniali, repressi con il fuoco dalle forze dell’ordine, per liberarsi da questa nuova schiavitù, pensarono di partire sia per la sopravvivenza ma anche alla ricerca della libertà, condizione di fatto duramente negata in patria.
Questa nuova situazione determinò così non solo l’impossibilità di sopravvivenza dei contadini, ma negò loro anche la prospettiva per una migliore condizione economica e sociale. Sulle condizioni economiche e sociali dei contadini e del proletariato meridionale, Benedetto Croce in un suo scritto, nell’affrontare la questione dei rivolgimenti degli anni ’60 si espresse così:
“Il contadino non ha casa, non ha campo non ha vigna, non ha prato, non ha bosco, non ha armento: non possiede che un metro di terra in comune nel camposanto. Non ha letto, non ha le vesti, non ha cibo d’uomo, non ha farmaci. Tutto gli è stato rapito o dal prete al giaciglio di morte, o dal ladroneccio feudale o dall’usura del proprietario o dall’imposta del comune o dello stato. Il contadino non conosce pan di grano, né vivanda di carne, ma divora una poltiglia innominata di spelta, segale o melgone, quando non si accomuni con le bestie a pascere le radici che gli dà la terra, matrigna a chi l’ama.”[4]
La situazione delle classi subalterne, pertanto, era di una tale gravità, sotto il profilo sociale ed economico, che solo una concezione politica del tutto nuova, avrebbe potuto modificarla. Ma purtroppo ciò non avvenne.
Questo divenire che dai primi anni successivi all’Unità d’Italia nei fatti non si è mai interrotto, se non per brevi periodi. Un cammino che ha dato al Molise aiuti, speranze, illusioni, sogni. Desiderio di un avvenire migliore per sé e per la propria famiglia.
Un cammino che ha dato al mondo la grande laboriosità dei molisani che con tanti sacrifici e con grande tenacia, hanno costruito pezzi importanti della storia mondiale del ‘900: Arturo Giovannitti e la lotta per l’emancipazione della classe operaia negli Stati Uniti d’America. Uomini e donne che hanno faticato non poco ad integrarsi nei remoti approdi del loro migrare: l’Argentina, il Brasile, il Venezuela. Che hanno pagato il tributo più alto e ingiusto, in condizioni di lavoro disumane, e spesso con la vita, come testimoniano le grandi tragedie che hanno segnato il cammino: Monongah, Marcinelle… (Antonio D’Ambrosio).
Consulenza tecnica: Luca Basilico
Supervisione: Giulia D’Ambrosio
[1] Fonte: AS CB, Prefettura Gabinetto I, b. 46, f. 1221
[2][3] Rapporto sullo stato del regno di Napoli dopo l’avvenimento al trono di S. M. il re Gioacchino Napoleone per tutto l’anno 1809- Napoli- 1811
[4] Benedetto Croce, Storia del Regno di Napoli, Laterza, 1925 pagg. 337,338.
Archivio Lefra Estero è un progetto curato dall’associazione Pro Arturo Giovannitti su commissione della Regione Molise.
L’8 maggio 2017, data nella quale ricorre l’anniversario della morte dell’artista di Ripalimosani (CB) avvenuta nel 2013, è stata presentata al pubblico una mostra degli scatti più significativi del fotoreporter molisano. Partendo dalle sue foto si è potuto ripercorrere dei pezzi di storia del popolo molisano che emigra.
La mostra rappresenta la fase intermedia di un progetto triennale di programmazione scientifico-culturale, attraverso il quale si è cercato di intervenire sulla conservazione, la tutela e la valorizzazione del catalogo di Lefra relativo all’Emigrazione regionale. Durante la prima fase si è proceduto con la presa visione del materiale e la catalogazione di tutte le foto. La fase conclusiva, invece, vedrà la pubblicazione di un documento relativo al progetto.
Leonardo Tartaglia, in arte Lefra (1933 – 2013), è stato un fotoreporter ed un fotografo molisano che ha dedicato la sua vita a fermare in centinaia di scatti la vita del Molise, sia sul territorio regionale e sia in terra straniera, immortalando momenti di quotidianità dei molisani all’estero. La produzione delle immagini fotografiche, scattate direttamente o collezionate, permettono di ricostruire un tessuto iconografico che va dal 1800 fino al 2000.
A partire dal 1960 fu inviato dell’agenzia nazionale ANSA, collaborò con il Messaggero e alcune testate giornalistiche regionali. La sua collaborazione con le testate giornalistiche si sposò perfettamente con la sua indole di fotografo e di antropologo. Ciò gli permise di proseguire senza sosta nel documentare il presente e nel catalogare in diversi reportage il suo lavoro. Oggi tutti questi scatti rappresentano per noi un’importante fonte storica, che narrano la storia dei molisani attraverso vividi scatti.
Proprio questa rilevanza storica e antropologica del lavoro di Lefra ci ha permesso di apprezzare tutti gli scatti, anche quelli tecnicamente meno prestigiosi, e di inserirli in un percorso didattico di grande valore.
Numerose sono state le mostre fotografiche che LEFRA ha curato personalmente in Molise e all’estero presso le diverse comunità dei molisani nel mondo. Sono state successivamente riprese, dopo la sua scomparsa, trovando un pubblico ancora più attento e curioso. Si potrebbe dire che le sue mostre sono diventate come un filo rosso che collega il cuore dei molisani che vivono ancora in Regione con quello di chi è andato via tempi addietro nella speranza di una vita migliore.
Oggi la commozione dei più anziani, di quelli che sono stati i protagonisti dell’emigrazione per necessità, si trasforma in curiosità e stimolo alla ricerca delle proprie origini per le 2 e 3 generazioni dei molisani nel mondo.
L’Archivio Lefra Estero, comprende immagini fotografiche catalogate attraverso una digitalizzazione sistematica, le quali opere immortalano: scorci di vita ben cristallizzati nel loro tempo e diventano un’importante testimonianza di come fisicamente erano gli spazi, le mode, l’architettura di un ben preciso periodo temporale. L’intervento di Leonardo e l’attenzione che egli dedicò alla tematica, offre la possibilità di approcciarsi al contesto dell’emigrazione molisana con l’ausilio di una documentazione dal valore antropologico e culturale.
Nel suo obiettivo sono passati luoghi e persone della nostra regione che emigrarono in Canada, negli Stati Uniti, nell’America del Sud, in Australia ed in Europa a partire dagli anni’46 fino agli anni ’90 e poco oltre. Un lavoro di documentazione che permette di raccontare particolarmente le comunità molisane residenti in Belgio o in maniera più estesa è possibile percepire, scorrendo le immagini, il processo in divenire (il work in progress) della nascente Comunità europea. Per quanto riguarda le Americhe sono i lavori ed i mestieri dei nostri corregionali, piuttosto che le comunità e gli organi istituzionali, a caratterizzare la narrazione.
Leonardo raccolse inizialmente tutto questo materiale fotografico (circa 1500 fotografie) all’interno di una “cartella” intitolata “Estero” e la conservò presso l’archivio di famiglia, separandolo dal “FondoLefra, che la Provincia di Campobasso, nel 2004, acquisì e conserva nella sede della Biblioteca Provinciale “P.Albino” di Campobasso (attualmente chiusa al pubblico).
La mostra “L’emigrazione attraverso gli scatti di Lefra” ha fornito un importante momento di confronto storico, al quale non è mancato il parallelismo sull’attuale fenomeno dell’immigrazione contemporanea. L’allestimento della mostra ha cercato di realizzare una narrazione storiografica separata per sezioni tendenzialmente legate fra loro da una linea cronologica temporale (1861 – 1960), che in estrema sintesi potremmo descrivere: dalla “Civiltà contadina” nell’Italia dopo l’Unità, all’Emigrazione transoceanica (fine ‘800 inizi ‘900), dall’emigrazione regionale a cavallo tra le due Guerre Mondiali al disastro nella miniera di carbone di “Bois du Cazier” Marcinelle – Belgio. All’interno di questo percorso, le immagini provenienti dalla collezione di famiglia e dall’Archivio Lefra Estero, hanno svolto una funzione di apparato iconografico efficace e funzionale per la comprensione e lo sviluppo del racconto.
In appendice alla mostra è stato presentato un raro documentario “Lefra storia di un Fotografo” di e con Mauro Carafa e Leonardo Tartaglia, realizzato all’incirca negli anni ’80.
In video gli interventi di: Antonio D’Ambrosio storico e presidente dell’associazione Pro Arturo Giovannitti; Mauro Carafa giornalista RAI ed autore del documentario “Lefra storia di un fotografo” proiettato nella sala multimediale durante la mostra; Luca Basilico coordinatore tecnico-scientifico del progetto.
L’emigrazione del secondo dopoguerra verso i paesi europei, fu caratterizzata dal pendolarismo e dalla stagionalità del lavoro.
Questo fattore divise in due il comportamento femminile: da una parte si tendeva di rimanere a casa (come un tempo), dall’altra si condivideva con il proprio marito l’esperienza migratoria.
Una scelta sicuramente avvalorata dalle politiche familiari messe in atto da alcuni paesi, soprattutto quelli nord europei, promotori di una sistema di welfare state continentale piuttosto che di un “modello di economia familiare” diffuso lungo la fascia mediterranea (Lo spirito del welfare, Bassi – Pfau Effinger, Franco Angeli 2013).
Le donne partite dopo il 1945, alcune delle quali non più analfabete, hanno valorizzato il ruolo femminile nel contesto familiare e sociale.
Grazie anche all’attenzione crescente verso le tematiche d’uguaglianza di genere (merito dell’attivismo e delle filosofie femministe); percepirono che il ruolo stesso di madre e moglie dovesse subire un cambiamento, decisero inoltre di lavorare in ambiti non tradizionali e soprattutto si imposero sul contenimento del numero dei figli.
Attirate dalla cultura della nuova patria e definite Les Promotionelles, contribuirono alla destrutturazione dei valori d’origine e favorirono il cambiamento soprattutto nel modus vivendi familiare.
Nel 1992 un’inchiesta dal titolo – Bambini nascosti – sulla condizione di clandestinità dei figli dei lavoratori stagionali in Svizzera, ha raccontato il clima di xenofobia, i ricatti psicologici sui permessi di soggiorno, la condizione di disagio degli operai costretti a tenere nascosta la famiglia.
Storie di bimbi vissuti nell’illegalità per anni, che respiravano l’insicurezza dei genitori, che avevano imparato a giocare in silenzio, a non rispondere, di giorno chiusi in casa e raramente portati a passeggio.
Bambini che, tornati liberi, erano tormentati dai problemi di apprendimento e dalle difficoltà linguistiche.
Genitori vissuti col dubbio se fosse stato meglio far vivere i propri figli nella clandestinità o in patria con una famiglia monoparentale.
Didascalie foto:
Dalla raccolta del Museo interattivo delle Migrazioni di Belluno (Foto 1)
Associazionismo ed Emigrazione. Storia delle colonie libere e degli italiani in Svizzera. Toni Ricciardi, Laterza 2013 (Foto2 in alto a destra)
Fonte web Inform. Le Locle 1962, Lavoratrici alla Tissot (Foto 3 in basso a destra).
A quattro anni dalla morte torna prepotentemente tra noi, come solo lui sapeva fare, Leonardo Tartaglia (27 ottobre 1933 – 8 maggio 2013), meglio conosciuto, nella nostra regione ed in Italia, come LEFRA. Una lunga ed instancabile vita dedicata alla fotografia ed al reportage fotografico. Il suo rapporto con questa forma espressiva inizia prestissimo, come mostra l’immagine da piccolo, testimonial della mostra, con a tracollo una macchinetta fotografica. Poi, un regalo di una macchinetta fotografica tutta sua il giorno della sua prima comunione. L’amore per questa relativa giovane arte lo avvolgerà e lo accompagnerà per tutta la vita. La macchinetta gli rimarrà a tracollo per sempre. Non si può immaginare Leonardo senza una o più macchinette che pendevano sul suo petto o sui suoi fianchi. Così “bardato“, con una inseparabile valigetta e con un camper, lo si scorgeva ovunque in questa nostra incantata terra. Nelle sedi istituzionali, su un ciglio di una strada, su una scala, su un balcone, sempre in un improbabile equilibrio fisico, pronto ad essere il primo a documentare, attraverso la fotografia, eventi, luoghi e persone. Aiutava a creare il personaggio il suo colorato modo di vestire, la sua propensione alla socializzazione ed il suo spontaneo ed affabile sorriso.
LeonardoTartaglia, però, non era solo un bravo fotografo, come la sua vasta biografia attesta. Apparteneva a quella eletta schiera di fotografi molisani (Trombetta, Pilone, Chiodini, De Vito…) che hanno saputo costruire un enorme archivio fotografico e che ci consente oggi di avere una lettura socio-economica-politica- antropologica della società molisana a partire dagli ultimi decenni dell’ottocento e tutto il novecento.
Egli, nei suoi lunghi anni di attività, con le sue innumerevoli iniziative, girando in lungo ed in largo il Molise ha documentato, in modo quasi maniacale, ogni personaggio, ogni luogo, ogni iniziativa di valore culturale che si sono svolte nei nostri centotrentasei Comuni. Non tralasciando mai, ovunque si recava, di recuperare le altre memorie fotografiche di quella comunità, acquisendo sia da privati o dai vecchi fotografi l’archivio del luogo. Questo enorme patrimonio costruito negli anni, con lungimiranza, la Provincia lo ha acquisito mettendolo a disposizione di studiosi e dei molisani.
Ben altra cosa è l’archivio sull’emigrazione che vi proponiamo.
Leonardo, per un ancestrale motivo, che solo un molisano può capire, non se n’è voluto separare.
Perciò, la Regione, attraverso l’ufficio Rapporti con i Molisani nel Mondo e la Presidenza del Consiglio Regionale, in collaborazione con la famiglia Tartaglia, ha voluto far conoscere quest’altra parte del patrimonio iconografico dei molisani, visto e documentato da Leonardo.
Per queste ragioni oggi siamo qui con voi. Per le stesse ragioni oggi ci sentiamo anche di dire di essere riconoscenti e grati a Leonardo, per l’amore, la passione, la professionalità che ha messo per la fotografia e per la gente della sua e nostra terra!
Antonio D’Ambrosio
La Mia Seconda Patria
Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Se continui ad utilizzare questo sito noi assumiamo che tu ne sia felice.Ok