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TAVOLA ROTONDA: LE DONNE E L’EMIGRAZIONE

Evento
Tavola rotonda

24/1/2020 ALLE ORE 17.30 

PALAZZO GIL FONDAZIONE MOLISE CULTURA

CAMPOBASSO VIA GORIZIA

INGRESSO GRATUITO (POSTI A SEDERE LIMITATI)

“LE DONNE E L’EMIGRAZIONE” – TAVOLA ROTONDA

L’evento collaterale, organizzato nell’ambito della mostra regionale dell’emigrazione molisana, offre l’occasione di discutere e di approfondire la tematica per la quale verte l’attenzione (focus),  di questa esposizione fotografica.

Per l’occasione si è pensato di organizzare una tavola rotonda con un profilo, nonchè un punto di vista ed una marcata presenza, spiccatamente femminile.

Le voci dei relatori o meglio delle relatrici, alla fine dei lavori comporranno un racconto plurale dall’alto profilo culturale.

Nello specifico presentiamo le relazioni da cui inizieranno i lavori:

Antonella Presutti, Presidente Fondazione Molise Cultura, Donne ed emigrazione nella letteratura.

Adele Rodogna, Docente di Italiano e Storia, Le vedove bianche.

Rossella Gianfagna, Rettore Convitto Mario Pagano, Le donne molisane all’estero.

Adele Fraracci, Docente di Storia e Filosofia, Tra Memoria e Storia. 

I lavori verranno aperti con i saluti particolari dell’Assessore alla Cultura, Turismo e Rapporti con i Molisani nel Mondo, Vincenzo Cotugno della Regione Molise ed a seguire ci sarà l’introduzione di  Antonio D’Ambrosio, Presidente dell’associazione pro Arturo Giovannitti e curatore della mostra

Vi aspettiamo!

 

 

 

 

Le donne e l’emigrazione

  • DONNE ED EMIGRAZIONE
    Sei anni dopo la prima grande mostra dell’emigrazione molisana fatta sempre negli spazi della
    Fondazione Molise Cultura, che ha visto una presenza di pubblico straordinaria (oltre cinquemila
    visitatori, in prevalenza giovani studenti) oggi, fortemente voluta dall’Assessore alla Cultura – Turismo
    e dei Molisani nel Mondo, ing. Vincenzo Cotugno, riproponiamo una mostra sull’emigrazione della
    nostra regione con un occhio indagatore diverso da quello di sei anni fa. Rimane comunque la finalità:
    una mostra didattica rivolta agli alunni delle scuole di ogni grado. Per loro in particolare, come per
    ogni molisano, ricordiamo che non si può capire, ancora oggi, la storia della nostra Regione se non si
    ha conoscenza del fenomeno migratorio che l’ha attraversata sin dagli anni Settanta dell’Ottocento
    e che continua ancora nei giorni nostri. Questa mostra abbiamo voluto dedicarla alla figura della
    donna, che la storiografia ha scarsamente considerato rispetto al ruolo svolto all’interno del
    fenomeno migratorio.
    In tal senso abbiamo riunito le migliori immagini degli archivi molisani: archivio Pilone di Larino;
    Centro della fotografia, archivioLa Grande Onda di Domenico D’Addario, San Martino in Pensilis,
    curata dal cultore della memoria storica locale Emiliano Di Tata; archivio De Vito d’Isernia ed infine il
    contributo della Fondazione Molise Cultura proveniente dall’archivio dell’ingegnere Flavio Brunetti,
    “Non aprire che allo scuro”. Un patrimonio iconografico immenso che la nostra regione può vantare
    in merito all’emigrazione.
    Altri documenti fotografici significativi sono in altri archivi privati o di associazioni, di cui sottolineiamo
    l’importanza della catalogazione e diffusione anche attraverso i nuovi archivi elettronici al fine di
    conservarne la memoria, di renderne accessibile lo studio, valorizzandone dunque la vasta ricchezza
    culturale, sociale, antropologica ed umana che emerge dalle immagini.
    Le foto in esposizione, trattandosi nella fattispecie di documenti storici, vanno lette tenendo conto
    della forza espressiva che le donne ed i bambini esprimono; in questo tipo di documento si può infatti
    individuare una comunicazione attraverso messaggi subliminali che le famiglie ed il fotografo
    celavano nello scatto, rendendo l’immagine leggibile per il proprio congiunto emigrato in “america”.
    Spesso questi messaggi vogliono essere toccanti rassicurazioni agli occhi di chi è lontano, le foto
    sembrano quasi parlare: “Tutti stanno bene; “I bambini crescono sani”; “Stiamo tutti in salute;
    “Stiamo tutti bene grazie al tuo sacrificio. Alcune volte questi messaggi, o meglio la loro lettura,
    passa attraverso dettagli, oggetti: mettere in mostra un frutto, una spiga di grano, un cimelio di
    famiglia, un ricordo, un regalo, un orologio o un borsellino aperto e vuoto, simbolo di una struggente
    richiesta daiuto.
    Sicuramente il più suggestivo fra i contributi fotografici è lo scatto denominato “La pietà”, una
    bambina tra le braccia della mamma che dilata il tempo e la bidimensionalità dello scatto, che fa
    riflettere sul significato della morte, e sul valore di un momento impresso per sempre sulla pellicola.
    Lucido, disperato, toccante ed estremo messaggio da inviare al marito lontano. Non solo la lettera
    che annuncia il doloroso e tormentoso evento, ma anche la necessità di testimoniarlo attraverso
    l’immagine. Una madre, che in questo modo mostra una consapevole e disperata freddezza rispetto
    al dramma che ha colpito la famiglia. Una foto unica, irripetibile per la portata umana e sociale del
    messaggio.
  • Altra novità apportata, oltre al patrimonio materiale relativo all’emigrazione (nella forma di lettere,
    passaporti, atti di richiamo, atti notarili, foto, cartoline, soldi) è la lettura della mostra che si presenta
    del tutto innovativa.
    Abbiamo puntato sulle scene iconiche che hanno caratterizzato l’emigrazione ed i momenti più
    difficili di questo percorso lungo circa centocinquant’anni. Abbiamo ricostruito, come in un film, le
    scene di una nave con l’attesa dell’imbarco, un ponte della nave con una cabina e le donne che strette
    ai propri cari guardano ad un futuro migliore. Poi MonongahWest VirginiaUSA, uno degli episodi
    più tristi della nostra emigrazione che ha visto la morte di oltre cinquecento minatori, rappresentato
    da un bambino minatore che porge con le sue mani ai visitatori del carbone della miniera.
    Il numero dei morti di questa tragedia del 6 dicembre del 1907 è imprecisato, avvolto dalla fitta
    nebbia del lavoro a cottimo, modalità lavorativa di cui precarietà e scarsa sicurezza sono le
    caratteristiche principali. La maggioranza delle vittime accertate era italiana e tra questi la perdita
    maggiore l’ha avuta proprio il Molise. Altro set è quello dedicato allo studio di Arturo Giovannitti, il
    nostro poeta e bardo della libertà, a fianco la scena della tragedia di Marcinelle accaduta in Belgio l’8
    agosto del 1956. Anche qui, come a Monongah, la miniera porta con sé 262 vite e sei feriti. 136 erano
    italiani, di questi 7 molisani.
    Spostandoci sull’altro lato della sala, emblema degli enormi sacrifici di padri e madri, le nuove
    generazioni: i figli degli emigrati che hanno avuto successo nella vita. A loro è dedicata la parte
    interattiva dove si possono sfogliare foto e leggere biografie.
    Concludendo, l’attualità rappresentata dai nuovi movimenti migratori: giovani che partono in aereo,
    con un trolley ed un computer e giovani che fuggono da guerre e miseria dai loro paesi, per arrivare
    in Italia ed in Europa, senza bagaglio ma con speranza, la stessa speranza che avevamo letto nei
    documenti fotografici in precedenza.
    In sintesi, ricordo ciò che la storiografia dice della nostra emigrazione, ovvero che sono partiti i più
    motivati e che questi, attraverso il loro lavoro, il loro impegno, il loro sacrificio hanno fatto grande il
    paese che li accolse. Se è stato vero questo per noi, è vero anche per chi in questi anni arriva con
    altrettanta motivazione e per questo potenzialmente, allo stesso modo dei nostri emigrati, capace di
    aiutare la nostra nazione a crescere.
    Antonio D’Ambrosio Presidente Associazione Pro Arturo Giovannitti, Curatore della mostra “Le donne e l’emigrazione” Palazzo GIL Fondazione Molise Cultura. 
  • ATTIVITA’ FORMATIVA PER LE SCUOLE
    Tempo visita complessiva: 50/60 min.
    Attività proposte:
    1 Tour della sala espositiva
    Contestualizzare i due macroperiodi storici (dal 1870 al 1970) attraverso il
    fenomeno sociale delle migrazioni.
    Documenti storici: leggere il documento fotografico.
    Agganciarsi all’attualità: i flussi migratori oggi.
    2 Reading emozionanti
    Il documento letterario, percorso di letteratura popolare: le lettere dei migranti.
    (i ragazzi saranno coinvolti nella lettura delle lettere/documenti raccolti per la
    mostra, ai fini di una maggiore capacità di immedesimarsi allinterno del
    contesto storico di riferimento
  • Info e prenotazioni:                                                                                                        Luca Basilico Coordinamento delle attività generali                                      338 6571359                                                            proarturogiovannitti@gmail.com

LA CIVILTA’ CONTADINA 1800 – 1960

Credits: Frank Monaco, Tony Vaccaro, G. Cucciniello

Una sola idea nuova è penetrata testé, quella dell’emigrazione, la quale aiutata dal fatto di qualche risultato favorevole, poteva divenire minacciante per la prosperità di questi luoghi. Così queste popolazioni non potendo entrare in massa nel gran movimento di idee e di utilità del proprio paese, trovano più comodo mandare esploratori nel nuovo mondo; né sarebbe strano che ove potentemente non fosse aiutato il loro sviluppo e progresso nel luogo ove nacquero, si levino un giorno come uno stormo di uccelli per traversare a schiera l’oceano[1].

Così, in una sua nota, scriveva nei primi anni Settanta del 1800 il prefetto Francesco Contin di Castel Seprio, che all’epoca ricopriva l’incarico di sottoprefetto per la Provincia di Campobasso, analizzando il crescente fenomeno dell’emigrazione.

In particolare, nei comuni del circondario di Isernia iniziavano a scorgersi i primi segnali del fenomeno che segnerà la storia recente della nostra regione. Ed il Prefetto, con lucida obiettività, in sostanza disegnava con queste frasi il quadro di quello che sarebbe stato il cammino dei molisani nel mondo.

La situazione economica e sociale delle Province meridionali (e del Molise in particolare), durante gli  stravolgimenti sociali e politici del 1860, non era sostanzialmente mutata da quella descritta da Giuseppe Zurlo (Baranello CB, 1759 – Napoli, 1828 [2]  Zurlo all’epoca dei fatti ricopriva la carica di Ministro dell’Interno e in riferimento all’applicazione della Legge del 23 ottobre 1809  relativa all’istituzione dei Commissari per la liquidazione degli usi civici [3] ,  diede  una personale interpretazione nel merito della Legge del 2 agosto 1806. Egli sostenne che la legge: abolì le prestazioni personali, tutti i diritti giurisdizionali, le privative, ma conservò ai baroni tutto ciò che essi possedevano per causa del dominio feudale, e di quello che si conservava non fu bastevole ad estinguere quello che la feudalità aveva di odioso, e di pesante per il popolo. La massima parte dei diritti feudali potendo aver l’impronta di prestazioni territoriali, tutto si sostenne come conservato dalla legge, e la feudalità parve per molto tempo abolita di solo nome. Per cui nelle campagne non solo rimase tutto immutato, ma a pagarne le spese fu proprio l’agricoltura. L’agricoltura molisana, come quella della stragrande maggioranza del mezzogiorno d’Italia, visse in un sistema di arretratezza e senza molte prospettive di sviluppo fino ed oltre il miracolo economico italiano degli anni  ’60 (a cui segue come  relazione di causa-effetto: l’abbandono delle attività nei campi e l’allontanamento della popolazione dai centri nativi – si guardi il fenomeno dello spopolamento delle aree interne – per le grandi città industrializzate soprattutto del nord. E qui potremmo iniziare a trattare un altro capitolo della storia dell’emigrazione italiana…).

Le condizioni di vita della quasi totalità dei molisani, in particolare dei contadini, erano pessime, poiché pressoché ridotti alla fame. Nella Provincia erano quasi del tutto inesistenti le strade e i commerci, non c’era un’industria che si poteva considerare tale, c’era solo qualche bottega d’artigianato, mentre, circa il novanta per cento della popolazione era dedita all’agricoltura.

Tutto era retto da pochi signori proprietari di terreni che da secoli avevamo sfruttato ed oppresso il popolo e che continuavano ancora a farlo indisturbati.

Le condizioni economiche dei molisani con l’ascesa e l’affermazione della nuova borghesia terriera, che sostituì l’aristocrazia ed il clero, ancora più rapace ed oppressore dei primi, peggiorarono addirittura. I contadini dopo i tentativi, anche violenti, messi in atto con ribellioni e lotte per la conquista dei terreni demaniali, repressi con il fuoco dalle forze dell’ordine, per liberarsi da questa nuova schiavitù, pensarono di partire sia per la sopravvivenza ma anche alla ricerca della libertà, condizione di fatto duramente negata in patria.

Questa nuova situazione determinò così non solo l’impossibilità di sopravvivenza dei contadini, ma negò loro anche la prospettiva per una migliore condizione economica e sociale. Sulle condizioni economiche e sociali dei contadini e del proletariato meridionale, Benedetto Croce in un suo scritto, nell’affrontare la questione dei rivolgimenti degli anni ’60 si espresse così:

“Il contadino non ha casa, non ha campo non ha vigna, non ha prato, non ha bosco, non ha armento: non possiede che un metro di terra in comune nel camposanto. Non ha letto, non ha le vesti, non ha cibo d’uomo, non ha farmaci. Tutto gli è stato rapito o dal prete al giaciglio di morte, o dal ladroneccio feudale o dall’usura del proprietario o dall’imposta del comune o dello stato. Il contadino non conosce pan di grano, né vivanda di carne, ma divora una poltiglia innominata di spelta, segale o melgone, quando non si accomuni con le bestie a pascere le radici che gli dà la terra, matrigna a chi l’ama.”[4] 

La situazione delle classi subalterne, pertanto, era di una tale gravità, sotto il profilo sociale ed economico, che solo una concezione politica del tutto nuova, avrebbe potuto modificarla. Ma purtroppo ciò non avvenne.

Questo divenire che dai primi anni successivi all’Unità d’Italia nei fatti non si è mai interrotto, se non per brevi periodi. Un cammino che ha dato al Molise aiuti, speranze, illusioni, sogni. Desiderio di un avvenire migliore per sé e per la propria famiglia.

Un cammino che ha dato al mondo la grande laboriosità dei molisani che  con tanti sacrifici e con grande tenacia, hanno costruito pezzi importanti della storia mondiale del ‘900: Arturo Giovannitti e la lotta per l’emancipazione della classe operaia negli Stati Uniti d’America. Uomini e donne che hanno faticato non poco ad integrarsi nei remoti approdi del loro migrare: l’Argentina, il Brasile, il Venezuela. Che hanno pagato il tributo più alto e ingiusto, in condizioni di lavoro disumane, e spesso con la vita, come testimoniano le grandi tragedie che hanno segnato il cammino: Monongah, Marcinelle… (Antonio D’Ambrosio).

Consulenza tecnica: Luca Basilico

Supervisione: Giulia D’Ambrosio

 

 

 

[1] Fonte: AS CB, Prefettura Gabinetto I, b. 46, f. 1221

[2]  [3]   Rapporto sullo stato del regno di Napoli dopo l’avvenimento al trono di S. M. il re Gioacchino Napoleone per tutto l’anno 1809- Napoli- 1811

[4] Benedetto Croce, Storia del Regno di Napoli, Laterza, 1925 pagg. 337,338.

ARCHIVIO LEFRA ESTERO – CAT. EMIGRAZIONE

Archivio Lefra Estero è un progetto curato dall’associazione Pro Arturo Giovannitti su commissione della Regione Molise.

L’8 maggio 2017, data nella quale ricorre l’anniversario della morte dell’artista di Ripalimosani (CB) avvenuta nel 2013, è stata presentata al pubblico una mostra degli scatti più significativi del fotoreporter molisano. Partendo dalle sue foto si è potuto ripercorrere dei pezzi di storia del popolo molisano che emigra.

La mostra rappresenta la fase intermedia di un progetto triennale di programmazione scientifico-culturale, attraverso il quale si è cercato di intervenire sulla conservazione, la tutela e la valorizzazione del catalogo di Lefra relativo all’Emigrazione regionale. Durante la prima fase si è proceduto con la presa visione del materiale e la catalogazione di tutte le foto. La fase conclusiva, invece, vedrà la pubblicazione di un documento relativo al progetto.

Leonardo Tartaglia, in arte Lefra (1933 – 2013), è stato un fotoreporter ed un fotografo molisano che ha dedicato la sua vita a fermare in centinaia di scatti la vita del Molise, sia sul territorio regionale e sia in terra straniera, immortalando momenti di quotidianità dei molisani all’estero. La produzione delle immagini fotografiche, scattate direttamente o collezionate, permettono di ricostruire un tessuto iconografico che va dal 1800 fino al 2000.

A partire dal 1960 fu inviato dell’agenzia nazionale ANSA, collaborò con il Messaggero e alcune testate giornalistiche regionali. La sua collaborazione con le testate giornalistiche si sposò perfettamente con la sua indole di fotografo e di antropologo. Ciò gli permise di proseguire senza sosta nel documentare il presente e nel catalogare in diversi reportage il suo lavoro. Oggi tutti questi scatti rappresentano per noi un’importante fonte storica, che narrano la storia dei molisani attraverso vividi scatti.

Proprio questa rilevanza storica e antropologica del lavoro di Lefra ci ha permesso di apprezzare tutti gli scatti, anche quelli tecnicamente meno prestigiosi, e di inserirli in un percorso didattico di grande valore.

Numerose sono state le mostre fotografiche che LEFRA ha curato personalmente in Molise e all’estero presso le diverse comunità dei molisani nel mondo. Sono state successivamente riprese, dopo la sua scomparsa, trovando un pubblico ancora più attento e curioso. Si potrebbe dire che le sue mostre sono diventate come un filo rosso che collega il cuore dei molisani che vivono ancora in Regione con quello di chi è andato via tempi addietro nella speranza di una vita migliore.

Oggi la commozione dei più anziani, di quelli che sono stati i protagonisti dell’emigrazione per necessità, si trasforma in curiosità e stimolo alla ricerca delle proprie origini per le 2 e 3 generazioni dei molisani nel mondo.

L’Archivio Lefra Estero, comprende immagini fotografiche catalogate attraverso una digitalizzazione sistematica, le quali opere immortalano: scorci di vita ben cristallizzati nel loro tempo e diventano un’importante testimonianza di come fisicamente erano gli spazi, le mode, l’architettura di un ben preciso periodo temporale.  L’intervento di Leonardo e l’attenzione che egli dedicò alla tematica, offre la possibilità di approcciarsi al contesto dell’emigrazione molisana con l’ausilio di una documentazione dal valore antropologico e culturale.

Nel suo obiettivo sono passati luoghi e persone della nostra regione che emigrarono in Canada, negli Stati Uniti, nell’America del Sud, in Australia ed in Europa a partire dagli anni’46 fino agli anni ’90 e poco oltre. Un lavoro di documentazione che permette di raccontare particolarmente le comunità molisane residenti in Belgio o in maniera più estesa è possibile percepire, scorrendo le immagini, il processo in divenire (il work in progress) della nascente Comunità europea. Per quanto riguarda le Americhe sono i lavori ed i mestieri dei nostri corregionali, piuttosto che le comunità e gli organi istituzionali, a caratterizzare la narrazione.

Leonardo raccolse inizialmente tutto questo materiale fotografico (circa 1500 fotografie) all’interno di una “cartella” intitolata “Estero” e la conservò presso l’archivio di famiglia, separandolo dal “FondoLefra, che la Provincia di Campobasso, nel 2004, acquisì e conserva nella sede della Biblioteca Provinciale “P.Albino” di Campobasso (attualmente chiusa al pubblico).

La mostra “L’emigrazione attraverso gli scatti di Lefra” ha fornito un importante momento di confronto storico, al quale non è mancato il parallelismo sull’attuale fenomeno dell’immigrazione contemporanea. L’allestimento della mostra ha cercato di realizzare una narrazione storiografica separata per sezioni tendenzialmente legate fra loro da una linea cronologica temporale (1861 – 1960), che in estrema sintesi potremmo descrivere: dalla “Civiltà contadina” nell’Italia dopo l’Unità, all’Emigrazione transoceanica (fine ‘800 inizi ‘900), dall’emigrazione regionale a cavallo tra le due Guerre Mondiali al disastro nella miniera di carbone di “Bois du Cazier” Marcinelle – Belgio. All’interno di questo percorso, le immagini provenienti dalla collezione di famiglia e dall’Archivio Lefra Estero, hanno svolto una funzione di apparato iconografico efficace e funzionale per la comprensione e lo sviluppo del racconto.

In appendice alla mostra è stato presentato un raro documentario “Lefra storia di un Fotografo” di e con Mauro Carafa e Leonardo Tartaglia, realizzato all’incirca negli anni ’80.

In video gli interventi di: Antonio D’Ambrosio storico e presidente dell’associazione Pro Arturo Giovannitti; Mauro Carafa giornalista RAI ed autore del documentario “Lefra storia di un fotografo” proiettato nella sala multimediale durante la mostra; Luca Basilico coordinatore tecnico-scientifico del progetto.

Videomaker: Gianluca Praitano (Gropiux)

Redazione:

Consulenza tecnica: Luca Basilico 

Supervisione: Giulia D’Ambrosio

Link del video: